Edicola di Silvignano (PG)

Poste in genere agli incroci viari o in luoghi di particolare significato da un punto di vista civile e religioso, le edicole e le raffigurazioni in esse contenute (fossero quelle della Vergine o di Santi locali e “terapeutici”) garantivano la protezione per chiunque si ponesse in viaggio allontanandosi dalla “rassicurante” protezione delle mura cittadine. L’edicola di Silvignano, villa probabilmente sorta per controllare il valico tra le valli della Spina e di Pettino, è appunto collocata lungo un percorso secondario che dalla via della Spina conduceva a Poreta e a Campello. È in muratura con tetto a capanna, sicuramente la più antica del territorio spoletino, è stata adattata alla curva stradale mediante l’abbattimento di una sua parte.

L’edicola di Silvignano

Nella parete di fondo della nicchia è raffigurata la Vergine attorniata dai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; nello spessore dell’arco sono rappresentati a sinistra San Giacomo, a destra Sant’Antonio Abate e in alto l’Agnus Dei. Il dipinto manca di un’ampia porzione inferiore. Lungo il bordo dell’aureola di Maria, sono evidenti i fori per l’applicazione di decorazioni.

 

I GRAFFITI

Testimonianze della frequentazione dell’edicola sono numerose scritte che costellano la superficie del dipinto: i graffiti del trigramma del nome di Cristo (CRISTOGRAMMA IHS), una rappresentazione stilizzata di Golgota e, vicino al volto della Madonna, un’iscrizione che rappresenta la facciata di una chiesa, sotto la quale in gotico corsivo è scritto «Sancta Maria de Farfa».

Il graffito dell’edicola di Silvignano (PG) con la scritta “Sancta Maria de / Farfa”

L’ignoto che ha inciso il graffito (forse un semplice viandante o un monaco benedettino) ha riprodotto le antiche sembianze dell’antica chiesa di Farfa che aveva due torrioni ai lati. La chiesa attuale, di aspetto ed orientamento differenti, fu ricostruita nel 1492 dal cardinale Orsini, proprio sul precedente edificio carolingio.

La presenza di una raffigurazione iconica antica della chiesa di Farfa non deve destare stupore; moltissime comunità monastiche umbre avevano rapporti strettissimi, se non di dipendenza con l’abbazia benedettina di Farfa; dall’alto medioevo l’abbazia svolse un ruolo fondamentale per tutta la vasta area dell’Italia centrale appenninica. Quella di Farfa era una delle comunità monastiche benedettine più importanti e prima fra queste a essere sottoposta già nel 775 alla diretta protezione della dinastia franca, come indicano le rilevanti testimonianze architettoniche di età carolingia, rintracciate negli scavi, svolti a più riprese nel secolo scorso[1]. La chiesa, che si credeva completamente sparita. nelle varie trasformazioni degli edifici, è riapparsa in molte sue parti, tanto da poter essere ricostruita in pianta con una certa esattezza.

Pianta dell’Abbaziale di Farfa come voluta da Sicardo (830-842)

Durante gli anni che vedono alla guida del monastero l’abate Sicardo (830-842), si collocano i maggiori mutamenti architettonici avvenuti all’interno di Farfa nell’Alto Medioevo, celebrate da diverse fonti documentarie contemporanee.

Nella Constructio Farfensis[2] si legge chiaramente come l’abate volle la costruzione di un oratorio dedicato al Salvatore, aggiunto alla chiesa abbaziale dedicata alla Vergine, e dotato di una cripta per collocarvi le reliquie dei santi martiri Valentino e Ilario, provenienti da Viterbo. La chiesa abbaziale altomedievale era dotata di un’unica navata, della quale è stata accertata la larghezza (m. 10), ma non la lunghezza.  Su questa struttura di modeste dimensioni vennero successivamente innestati due corpi architettonici contrapposti: a oriente un coro tripartito, composto da un avancorpo quadrangolare affiancato da due torri campanarie abbinate, di cui una sola conservata, e a occidente un transetto sporgente absidato, con sottostante una cripta, interrotta da un braccio rettilineo. Le due torri affiancate al coro quadrato sono state interpretate da alcuni studiosi come uno dei più tipici esempi di Westwerk[3] carolingio. Fu soprattutto l’articolazione delle strutture, oltre ai particolari della decorazione della base dell’unica torre conservata che in qualche modo richiamano analoghe soluzioni transalpine, a guidare gli studiosi verso queste soluzioni[4].

La genesi e la diffusione di questa particolare tipologia architettonica vanno ricercate in Europa settentrionale, specificatamente nella regione dell’Alto Reno, dove si presenta in numerosi esempi a partire dalla prima metà del sec. 11° (cattedrali di Strasburgo e Basilea; complesso abbaziale di Limburg an der Haardt), per estendersi successivamente in altre regioni europee, in particolare in Normandia. Anche in quest’ultimo caso viene confermata quindi la continuità di contatti di Farfa con i centri culturali transalpini, che rimane una costante delle vicende artistiche dell’abbazia sabina. La chiesa non presenta esempi confrontabili in Italia, con l’unica eccezione dell’abbaziale di San Salvatore sul monte Amiata.

A sinistra Chiesa di Santa Maria di Farfa, aspetto attuale (RI)
A destra Abbaziale di san Salvatore presso Abbadia di S. Salvatore (SI)

 

NOTE E BIBLIOGRAFIA
[1] Per una sintesi degli studi sui resti architettonici dell’abbazia di Farfa, con descrizione e analisi delle strutture medievali emerse dagli scavi del secolo scorso si rimanda, anche per la bibliografia completa, C. B. McClendon, The Imperial Abbey of Farfa. Architectural Currents of the Early Middle Ages, New HavenLondon 1987; Betti, Farfa nell’Alto Medio fra storia arte e archeologia, in L’abbazia di Farfa, a cura di Isabella del Frate, Roma 2015, pp. 31-47;
[2] Gregorio da Catino, Chronicon Farfense, a cura di U. Balzani (Fonti per la storia d’Italia, 33-34), 2 voll., Roma 1903: I, pp. 325-326; Constructio monasterii Farfensis, ivi, p. 18.
[3] Il modello architettonico del Westwerk, era un grande corpo a più piani protetto ai fianchi da due alte torri mascherate da campanili.  All’esterno la sua forma caratteristica assumeva un aspetto fortificato. Fu una delle creazioni più originali dell’architettura carolingia ed ebbe particolare diffusione dalla seconda metà del IX al X secolo.
[4] Sulle ipotesi architettoniche della chiesa di Farfa: Marios Costambeys, Power and Patronage in Early Medieval Italy: Local Society, Italian Politics and the Abbey of Farfa, c.700-900,  Cambridge University Press, 2008. C. Heitz, Rôle de l’église-porche dans la formation des façades occidentales de nos églises romanes, in La façade romane, in Actes du Colloque international organisé par le Centre d’études supérieures de civilisation médiévale, CahCM 34, 1991, pp. 329-334.

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